lunedì 12 marzo 2012

Aspettando


Lunedì si torna al lavoro.
Passato da poche ore il fine settimana, mi scopro già a fare progetti per il prossimo, in cui non sono bloccato in ufficio a fare quelle cose insulse che mi allietano le giornate lavorative come tabelle, grafici, relazioni, impaginazioni.
In attesa di andare, che ne so... per centri commerciali? ^_^'

In quest'ottica, questi cinque giorni sono una seccatura, un tempo scomodo e inutile, da far passare velocemente in attesa di un momento migliore, in cui divertirmi, e vivere appieno la vita. Due giorni su sette, potrebbe andare meglio, ma non lamentiamoci.

Però, è chiaro che in quest'ottica questi cinque giorni di noiosa routine sono cinque giorni persi. Cinque giorni sprecati.
Per la verità, quando mi fermo a pensarci mi pare che a volte gli ingranaggi contorti della società ci spingano a sprecare i giorni.
O meglio, visto che il lavoro pare sia in qualche modo necessario al funzionamento dell'uomo (per mangiare, ma anche per non andare via di testa il perchè, giuro, non mi è ben chiaro) e a quanto sembra è praticamente impossibile per noi umani medi liberarsene, mi pare ben disposta ad insegnarci la teoria dell'immaginare progetti per il futuro e finire con l'aspettare.
Aspettare le vacanze estive quando sei a scuola, aspettare di essere "grandi" per fare tutto ciò che vuoi (seee, proprio) quando sei bambino, aspettare le ferie quando sei bloccato alla scrivania, aspettare che passi il periodo di pressione in ufficio e la consegna improrogabile per potersi rilassare un po' (che tanto appena finito ce n'è un'altra), aspettare la promozione per fare la bella vita, aspettare la pensione per potersi concedere del tempo ed essere liberi, aspettare, aspettare... ma aspettare COSA, se poi viene fuori sempre un impedimento che rovina il teorico momento perfetto su cui contavamo e che avevamo tanto immaginato?

In questo bisogna ammettere che siamo recidivi e non impariamo mai. E se poi uno è religioso, capita anche di peggio: uno può perfino convincersi a sopportare la vita intera aspettando di andare un giorno in un posto dove finalmente tutto sarà bello e perfetto, dove incontreremo i nostri cari, dove saremo per sempre felici e liberi da ogni male. Morti stecchiti e quindi felici.
Perverso. Chi potrebbe crederci?

...eppure.... °_°'


Mi pare che ci sia sempre, in sottofondo, quell'aspirazione a cercare un "momento perfetto", nel futuro nebbioso, dove tutto sarà a posto e noi saremo finalmente soddisfatti e appagati.
In questo, i cartoni animati e i film (e perchè no, le favole?) giocano la loro parte: trasmettono fin da bambini l'idea che "tutto è bene quel che finisce bene", che dopo un percorso più o meno accidentato e pieno di difficoltà e ostacoli da superare, ci sia il lieto fine dove tutti ridono più o meno sguaiatamente, trionfa il bene e la felicità è perfetta. Per sempre felici e contenti.
Balle, è ovvio.

...eppure, chi non smette di sognare?


Affascinati da un ipotetico finale dove tutto è felicità, lavoriamo oggi sui nostri errori per cercare di migliorare, di maturare, ed avere le capacità per afferrare finalmente il momento perfetto, dove non sarà più necessario aggiustare niente, ma così è sempre aspettare un momento che deve ancora venire.
E' come se adesso stessimo sempre allenandoci, se stessimo ancora lavorando per ottenere le premesse di un futuro splendido, se stessimo recitando le prove generali in attesa del grande spettacolo. Il Cristianesimo, peraltro, la pensa proprio così. O ce lo vuole far credere, perlomeno.
Aspettiamo che la vera vita cominci.
E intanto, cosa facciamo? Il tempo passa e mi accorgo a volte di come lo usiamo in maniera insulsa. A spettegolare su Facebook. A fare zapping tra video di youtube di cui non sentivamo bisogno. A guardare foto di gente che non conosciamo. A spiare le vite finte di altri col Grande Fratello (che alla dodicesima edizione ha fatto flop, finalmente) e a guardare programmi insulsi di cui in fondo non ci frega niente. A fare passatempi. E il tempo passa, appunto.




Cioè, parlando di tempo che passa, si arriva al concetto successivo: par brutto, ma è abbastanza chiaro che dovremo morire. Bella scoperta?
Curiosamente, quando esprimo questo pensiero, la gente normalmente si tocca e poi mi manda a quel paese, o fa le stesse due cose ma in ordine inverso; per la verità, a volte anche in contemporanea.
Vero che si deve morire, MA SI SA: è una cosa che succederà. Un giorno. Lontano, si spera, e aspetta che mi tocco di nuovo e vai un po' a fare 'sti discorsi da iettatore da qualche altra parte, sì? Ecco bravo.
E poi che senso ha farsi 'ste seghe mentali: per adesso siamo vivi, no? Ecco, appunto.
Tra parentesi, se ci penso bene, non ci credo fino in fondo neanch'io. Un attimo, penso, ragioniamo: mi guardo allo specchio e dico "toh, ho 34 anni", strano... poco fa ne avevo 25. O erano 20? Non può essere. TRENTAQUATTRO? Mi è sfuggito qualcosa?
Quando è passato, il tempo? E soprattutto... come l'ho utilizzato? Ho realizzato qualcosa per cui essere fiero di me stesso? Qualcosa di veramente grandioso, spettacolare, eroico, come i personaggi dei film?
Bé, non esattamente... magari più aspettando distrattamente che passi la giornata lavorativa in attesa che arrivi la sera? E la serata, su facebook? Scrivendo post di blog? O guardando film orrendi? Sempre che non stiamo guardando una pubblicità irritante di qualche insulso detersivo, in attesa che ricominci il film orrendo.




Basta guardarsi intorno per vedere come sia difficile, forse impossibile, rendersi conto pienamente della fragilità della nostra stessa vita, di quanto sia stupidamente temporanea, di come poi basti un niente perchè si spacchi.
Anche se uno riesce nell'intento di non impiantarsi contro un platano il sabato sera, il corpo comunque si logora. Però non ci si pensa, normalmente.Probabilmente c'è una specie di meccanismo salvavita per non essere presi dall'angoscia di invecchiare, di avere un timer dentro le proprie cellule, di avere le batterie Ni-Cd di quelle con l'effetto memoria che ogni giorno che le ricarichi si caricano sempre un po' meno, e dopo cento utilizzi la macchina fotografica non si accende più. E ti accorgi che i pezzi di ricambio non erano previsti dal rivenditore.

Qualcosa che spinge a trattare i compleanni come feste, anzichè guardare la cosa dall'altro punto di vista e capire che ok, è un anno in meno da vivere.
Per la maggior parte di noi comprensibilmente questo ragionamento è da evitare ad ogni costo, per cui si fanno le corna e si procede a vivere come se niente fosse, ignorando questa realtà, distraendosi deliberatamente, come se la morte non esistesse veramente e comunque non ci toccasse da vicino -non per noi, almeno- e poi ecco, si resta impreparati quando ad esempio un vecchio nonno improvvisamente viene a mancare.
Che "improvvisamente" un tubo, visto che a una certa età il fatto di andarsene, se non altro per una questione di statistica, sarebbe da prendere emotivamente in considerazione.

E quando questo succede uno pensa che l'esempio, dovrebbe servire di lezione. E invece, giorno dopo giorno, il tempo guarisce le ferite. Ci si dimentica della visita della morte. E si torna ad aspettare che succeda quel grande evento che segni l'inizio della vera vita, e nel frattempo si continua ad aspettare distratti, giorno dopo giorno, in giorni così simili l'uno all'altro, a perderci in passatempi. E il tempo passa, appunto. Ed è così strano pensare che non ritorna.




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